Giuseppe Cicero è una persona sincera e sensibile, di sani principi morali, affezionato ai valori della famiglia e del bene comune, dall’aspetto esile e dal carattere tenace, di poche e buone compagnie, appassionato del suo lavoro, oltre che cultore della civiltà della terra.
Da questa schematica descrizione si potrebbe pensare ad una persona immediatamente catalogabile in una pre-cisa tipologia umana, del tutto priva di particolari asperità, quantunque ricolma di qualità e di civismo. Insomma, una persona perbene che non si lascia confondere dal frastuono circostante, che segue la diritta via, che sceglie sempre la via maestra per affrontare la vita e le sue grandi domande. In estrema sintesi, uno che sa per davvero quello che sa e non mostra nessun’altra intenzione. Cicero sembrerebbe perfettamente definito nella sua personalità anche per via di un’educazione di fondo che attribuisce alla sua vecchia e nuova famiglia, ma che sicuramente si è accresciuta negli anni, procurandogli un elevato grado di tolleranza e di rispetto per il prossimo. A ben guardare, però, nel suo modo di fare c’è qualcosa che sorprende più del previsto e del prevedibile. Non già nel senso che include la contraddizione tra il dire e il fare, sempre incombente, ma qualcosa di differente. Ovvero, quando pensi di averlo incasellato in un carattere, arriva la sorpresa che sbalestra. Puntuale come un orologio svizzero. Arriva un fulmine a ciel sereno che costringe a rivedere le precedenti considerazioni sul suo conto. Non per capovolgerle o modificarle, piuttosto per definirle con maggiore precisione di dettaglio alla luce delle nuove impressioni. Proprio come un lampo che illumina tutt’attorno.
Precisamente come i suoi aforismi, che richiedono almeno una seconda lettura per essere compresi nella loro essenza. A tutta prima, infatti, lasciano stupefatti, come se fosse un colpo rimasto in canna, allorquando si aprono a corolla nel successivo tentativo, svelandone il senso più profondo. Un supplemento di lettura che soddisfa la comprensione. Per dirla nuda e cruda, nel caso di Giuseppe Cicero e dei suoi Aforismi e poche parole c’è una perfetta aderenza tra ciò che appare e scompare, tra quel che sta sopra e sotto, davanti e dietro, e che non si svela mai completamente, né definitivamente, specie quando l’interpretazione aumenta i suoi effetti dirompenti. L’aforisma, dunque, sembra comodamente attagliarsi alla sua indole. Introversa quanto basta, estroversa per quanto necessario, assai somigliante al teorema del necessario, ma non sufficiente. Il bello è che i suoi aforismi sono un’attività libera, non nascono a tavolino, non sono rivestiti, né contengono l’ex post che amplifica a dismisura quel che vogliono significare. Nella loro forma diretta e implicita, sono spontanei, naturali come il respiro. Si formano quando meno te l’aspetti, nel mezzo di una discussione, di una polemica, di un dibattito che ha poco a che fare con l’aforisma stesso. Cicero ascolta, registra a memoria, si astrae, annota e divaga, si guarda intorno, prende su di sé le cose che sente e le fa proprie, si astrae ancora, piega le labbra e le contorce, si agita in preda ad uno stato di trance creativo, infine si ricompone, riordina le idee e si lascia andare allo scatenamento dell’immaginazione. E scrive d’un solo tratto. La sua straordinaria capacità di ascolto e l’abitudine alla riflessione solitaria si intrecciano in un groviglio inestricabile, ma solo all’apparenza, giacché non perde mai di vista il suo proposito, essenzialmente rivolto al bene e all’utile.
Non so perché, ma ho sempre pensato che l’aforisma fosse un genere ad esclusivo appannaggio dell’età avanzata. Forse a cagione dei precetti che include e del loro tono sentenzioso, dell’esperienza di vita che richiama una maggiore dose di autorevolezza e di disincanto insieme. Evidentemente mi sbagliavo. Cicero è la prova che si possono scrivere aforismi anche da giovane. Anche perché l’autore si è guardato bene dall’assumere quella saccenteria che avrebbe guastato tutto e che gli anziani si concedono, quando, non potendo fare peggio, consigliano il meglio.
Gli aforismi di questa raccolta, più che alla morale si rivolgono all’ironia, se non proprio all’umorismo, giocano con le parole e con le parole all’assonanza, intercettano sentimenti diffusi e autentici, allontanano le conclusioni affrettate, né si pongono intenti pedagogici. Inducono, piuttosto, alla riflessione che appaga lo spirito. Se questo era l’obiettivo dichiarato dall’autore, non si fa nessuna fatica a riconoscerlo. Proprio come le grandi domande che sovente non trovano risposta.
Filippo Vairo
Da questa schematica descrizione si potrebbe pensare ad una persona immediatamente catalogabile in una pre-cisa tipologia umana, del tutto priva di particolari asperità, quantunque ricolma di qualità e di civismo. Insomma, una persona perbene che non si lascia confondere dal frastuono circostante, che segue la diritta via, che sceglie sempre la via maestra per affrontare la vita e le sue grandi domande. In estrema sintesi, uno che sa per davvero quello che sa e non mostra nessun’altra intenzione. Cicero sembrerebbe perfettamente definito nella sua personalità anche per via di un’educazione di fondo che attribuisce alla sua vecchia e nuova famiglia, ma che sicuramente si è accresciuta negli anni, procurandogli un elevato grado di tolleranza e di rispetto per il prossimo. A ben guardare, però, nel suo modo di fare c’è qualcosa che sorprende più del previsto e del prevedibile. Non già nel senso che include la contraddizione tra il dire e il fare, sempre incombente, ma qualcosa di differente. Ovvero, quando pensi di averlo incasellato in un carattere, arriva la sorpresa che sbalestra. Puntuale come un orologio svizzero. Arriva un fulmine a ciel sereno che costringe a rivedere le precedenti considerazioni sul suo conto. Non per capovolgerle o modificarle, piuttosto per definirle con maggiore precisione di dettaglio alla luce delle nuove impressioni. Proprio come un lampo che illumina tutt’attorno.
Precisamente come i suoi aforismi, che richiedono almeno una seconda lettura per essere compresi nella loro essenza. A tutta prima, infatti, lasciano stupefatti, come se fosse un colpo rimasto in canna, allorquando si aprono a corolla nel successivo tentativo, svelandone il senso più profondo. Un supplemento di lettura che soddisfa la comprensione. Per dirla nuda e cruda, nel caso di Giuseppe Cicero e dei suoi Aforismi e poche parole c’è una perfetta aderenza tra ciò che appare e scompare, tra quel che sta sopra e sotto, davanti e dietro, e che non si svela mai completamente, né definitivamente, specie quando l’interpretazione aumenta i suoi effetti dirompenti. L’aforisma, dunque, sembra comodamente attagliarsi alla sua indole. Introversa quanto basta, estroversa per quanto necessario, assai somigliante al teorema del necessario, ma non sufficiente. Il bello è che i suoi aforismi sono un’attività libera, non nascono a tavolino, non sono rivestiti, né contengono l’ex post che amplifica a dismisura quel che vogliono significare. Nella loro forma diretta e implicita, sono spontanei, naturali come il respiro. Si formano quando meno te l’aspetti, nel mezzo di una discussione, di una polemica, di un dibattito che ha poco a che fare con l’aforisma stesso. Cicero ascolta, registra a memoria, si astrae, annota e divaga, si guarda intorno, prende su di sé le cose che sente e le fa proprie, si astrae ancora, piega le labbra e le contorce, si agita in preda ad uno stato di trance creativo, infine si ricompone, riordina le idee e si lascia andare allo scatenamento dell’immaginazione. E scrive d’un solo tratto. La sua straordinaria capacità di ascolto e l’abitudine alla riflessione solitaria si intrecciano in un groviglio inestricabile, ma solo all’apparenza, giacché non perde mai di vista il suo proposito, essenzialmente rivolto al bene e all’utile.
Non so perché, ma ho sempre pensato che l’aforisma fosse un genere ad esclusivo appannaggio dell’età avanzata. Forse a cagione dei precetti che include e del loro tono sentenzioso, dell’esperienza di vita che richiama una maggiore dose di autorevolezza e di disincanto insieme. Evidentemente mi sbagliavo. Cicero è la prova che si possono scrivere aforismi anche da giovane. Anche perché l’autore si è guardato bene dall’assumere quella saccenteria che avrebbe guastato tutto e che gli anziani si concedono, quando, non potendo fare peggio, consigliano il meglio.
Gli aforismi di questa raccolta, più che alla morale si rivolgono all’ironia, se non proprio all’umorismo, giocano con le parole e con le parole all’assonanza, intercettano sentimenti diffusi e autentici, allontanano le conclusioni affrettate, né si pongono intenti pedagogici. Inducono, piuttosto, alla riflessione che appaga lo spirito. Se questo era l’obiettivo dichiarato dall’autore, non si fa nessuna fatica a riconoscerlo. Proprio come le grandi domande che sovente non trovano risposta.
Filippo Vairo